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La Nuova Sardegna
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Fra tradizione e satira
Fabio Canessa
Iniziato ufficialmente da oltre un mese, con la notte dei fuochi di Sant’Antonio Abate, il Carnevale in Sardegna si prepara a entrare nel vivo con il giovedì grasso, prima delle giornate più attese: domenica prossima e il successivo martedì. Una festa dai cento, mille volti.
Quelli delle mitiche maschere che caratterizzano le diverse località che celebrano questo rito profano. Maschere d’antica origine che contraddistinguono per esempio uno tra i carnevali dell’isola più conosciuti anche fuori dalla Sardegna: quello di Mamoiada. Le due figure simbolo che tengono viva una tradizione che affonda le sue radici nella cultura agro-
A non molti chilometri di distanza, a Ottana, nello stesso primo pomeriggio di domenica ci sarà anche l’attesa vestizione di boes, raffiguranti bovini forniti di corna, e merdules, raffiguranti invece l’uomo, simbolo della festa a Ottana. Ma spicca anche la figura de Sa Filonzana, maschera di una vedova che fila la lana, il filo della vita.
Ma sono tanti gli appuntamenti anche in altri centri della Barbagia: per esempio quello di Gavoi con la sfilata di Sa Sortilla ‘e tumbarinos oppure di Ovodda dove la giornata più significativa è quella del 9 marzo chiamata Sa die de Merhuris de lessia. Tutti gli abitanti partecipano attivamente facendosi pitturare il viso. Le maschere, sos Intintos, portano in giro per le strade il fantoccio di Don Conte.
Clima diverso in Gallura, a Tempio, dove il carnevale vuol dire soprattutto ironia, satira, carri allegorici. Il 3 marzo parte alle ore 15 la prima sfilata dei carri allegorici, secondo il percorso storico. Il 6 marzo la seconda sfilata mentre martedì 8 è prevista la gran sfilata finale. La sera il personaggio simbolo del carnevale tempiese, Re Giorgio, sarà pubblicamente processato e destinato irrimediabilmente al rogo.
L’ironia è ben presente anche nel carnevale di Bosa, nel Carrasegare ’Osinku. I festeggiamenti raggiungono il culmine l’8 marzo, martedì grasso: dalle 10 in corso Vittorio Emanuele si inizia la mattina con il lamento funebre di s’Attitidu. Le maschere si vestono a lutto e portano in braccio una bambola fatta di stracci: spesso chiedono un po’ di latte per consolare il bambino, triste perché il Carnevale è finito.
La sera l’abito delle maschere cambia e diventa bianco, escono per le strade chilchende a Giolzi (cercando Giolzi), i pupazzi che poi di notte verranno bruciati.