E poi il cielo è così bianco
di Giuseppe Mureddu
E poi il cielo fuori è così bianco, sembra che niente possa accaderci. Sembra che questi tetti che infilano i loro angoli dentro la notte possano proteggerci da ogni rumore o paura. Abbiamo riempito le pareti di tutti i quadri trovati in soffitta. Se ne stavano lì ammassati da chissà quanti anni sommersi dalla polvere e noi li abbiamo resuscitati convinti del benefico effetto del colore sugli occhi, della compagnia che potrebbero farci. Sono brutti quadri ma sono abbastanza numerosi da non richiedere il lusso di essere osservati con attenzione. Bastano quei gialli carichi e il blu del mare a due dimensioni. Ci distrae averli intorno, ci donano affetto a buon mercato. Sono giorni di cellophane e polvere questi. Giorni di vaselina e scatole di cartone da caricare sulle spalle e nastro adesivo marrone. Siamo sempre precari, sempre in equilibrio instabile tra molteplici indecisioni che richiederebbero la nostra cura, ma è che proprio non ne abbiamo più voglia. A questo pensavo, al sonno che mi tranquillizza, ai giorni che mi mancano e a questo silenzio intorno che fa di tutto per liberarti da ogni cura, e in un certo senso è bello. È una colazione narcolettica, una tazza di cloroformio, una macchia verde che ti toglie ogni energia e ogni rabbia. Non succede mai niente qui, solo confezioni stinte di gelati vecchie di anni e un rincorrersi ciclico di stagioni, il tempo che morde la coda e si avvolge su se stesso. E io sono un Nick Drake di tristezza, pacificato dal sonno e dalla veglia, a quel punto della vita in cui capisci perfettamente che non sarai mai quello che volevi e, tutto sommato, non capisci perché te ne importasse così tanto. E poi il cielo fuori è così bianco e lottare non serve a niente. Voltare le spalle e sciogliersi nella corrente è una gioia calda e avvolgente, è un soffio che ti spinge alle spalle e allora sei solamente una tenda ricolma di vento, una finestra che accoglie quadrati di sole dentro di sé, che si scioglie in un orgasmo lungo un giorno intero. Un mio amico dice che Maradona è dio e non c'è niente che potresti dire per convincerlo del contrario. Per me invece dio è terra sotto le unghie. È quella mezzaluna nera che ti resta quando hai solcato la terra morbida con le dita a rastrello e ti senti felice di quell'odore di terra morbida e nera. Felice delle cose intorno a te, della compagnia muta degli oggetti inanimati, dello scorrere calmo delle persone e delle cose. E poi che stanchezza ancora, e questo silenzio mortale. Neanche le auto scorrono più sotto la mia finestra, che dire, forse c'è stata un'esplosione atomica e non me ne sono neanche accorto. Ora esco e c'è il cielo arancione e il deserto intorno, strade desolate e supermarket vuoti di tutto. Anna se n'è andata da una settimana ed è uno squarcio nero che non si chiude più. Ha cambiato lavoro e non lo so nemmeno dov'è che abita, dove sono le sue ore lontano da qui. Se almeno ci fosse stata quell'esplosione atomica tutto questo silenzio avrebbe un senso, e potrei anche continuare a stare rinchiuso con la certezza consolante che un'alternativa non c'è, non c'è un'altra soluzione possibile e quello che sto facendo è giusto, quello che sto facendo ha un senso, perché non potrebbe essere altrimenti. E questi rami inchiodati al cielo, questo risorgere che è un'eterna delusione, un rinvio a cose migliori che non arrivano mai. La pioggia di maggio non arriva più. La pioggia di maggio, quella che salva il raccolto di tutta la stagione, è quella che bisogna aspettare, come a dire che non è tutto perduto ancora, che qualcosa di buono può ancora venire fuori da questi anni di merda, da questi giorni di alghe che anche a metterci tutta la buona volontà del mondo non ce la fai a considerarli vita, e non è che a ripeterti le cose più forte poi finisci col crederci davvero. Non è così. E quanto è forte il dolore di questi anni? E quanto lo sopporti ancora? E perché una mattina non ti svegli e il mondo che conoscevi non ti esplode davanti e tu sei solamente una lavagna vuota, un muro bianco da scrivere come se fosse la prima volta? Neve vergine da calpestare senza lasciare segni dietro di te, senza memoria. Forse dio è neve vergine e terra morbida sotto le dita, è la pioggia di maggio che non arriva mai, questo eterno aspettare, il freddo delle stanze vuote e il rumore delle posate sul piatto. E poi fuori il cielo è così bianco e io sono così vuoto da non riuscire a lasciare niente dietro di me. Se solo potessi essere acqua inghiottita dal terreno, sabbia morbida sotto le mani o alghe asciugate dal sole. Se solo potessi arare le distese del mare per avere una nuova forma e un significato lo farei senza pensarci neanche un secondo. E poi il cielo fuori è così bianco, sembra che niente possa accadere, sembra che niente possa accadere, sembra che niente possa accadere.
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