Istantanea di un buco nell'acqua
di Antonio Giannandrea
Luci… luci colorate e un senso di nausea e vertigine come su di una giostra impazzita che gira e gira senza fermarsi mai. Sgomitando tra la folla cerca una via d'uscita, si guarda attorno impaurita, disorientata, cercando varchi e aria tra i corpi spinti da un movimento osmotico a destra e a sinistra senza una meta apparente. Strattona e dà calci e pugni per aprirsi la strada, colpisce chiunque, a zero. La nausea aumenta, il caldo insopportabile non lascia scampo ad una copiosa sudorazione che la mette ancora più a disagio, distratta o forse confusa va addosso con violenza ad un gruppo di ragazzi presi a litigarsi qualcosa di fresco da bere. Seduta a terra si sente osservata dall'alto in basso, si curva sull'addome in un improvviso spasmo di dolore, stringe i denti con il volto sporco di polvere si rialza e corre via verso quel piccolo spazio che si è venuto a creare. Arriva in auto cominciando a piangere, sommessamente, accende il motore ma non parte, rimane lì, con la testa e le braccia buttate sul volante, piange a rotta di collo e si dispera, tra sé e sé cerca di parlare ma le parole si sciolgono nella sua bocca e non ha più fiato ma vorrebbe tanto urlare al mondo intero "io sono qui, c'è qualcuno là fuori?".
Svegliarsi la mattina diventa traumatico se la notte precedente ci si è coricati non proprio in ottime condizioni, la gola arrossata che brucia, la bocca impastata di sapori diversi, gli occhi gonfi e stanchi e un mal di testa lancinante. Butta giù un'aspirina e alla via così. Il primo pensiero del giorno non va alla serata trascorsa, come ci si potrebbe immaginare, ma vola già al giorno di domani, tralasciando almeno per qualche ora quello che si deve ancora affrontare. I muscoli si distendono lentamente, uno ad uno. Sotto il ritmo cadenzato delle gocce d'acqua che scendono dalla doccia si sofferma ad accarezzarsi la guancia, la pelle che porta i segni di una ferita scioccante, ma niente al confronto di quella che si cela nel profondo. Perde sangue dal naso, lo tampona arrestando l'emorragia, un'altra aspirina e alla via così. Il rituale antropologico della vestizione ha inizio, un capo dopo l'altro, per finire con le scarpe e il campo totale davanti allo specchio, non si vede attraente ma si presuppone che lo sia, non si ritiene intelligente ma indubbiamente lo è, si considera buona a nulla, forse sì, ma in fondo a chi importa, essenziale invece è che sia abbastanza tranquilla, non troppo, ma quel tanto che necessita alle quotidiane attività. Ma a chi la dà a bere? Sereno può essere il tempo, certo non lei, felice può esserlo un gatto, senza una preoccupazione alcuna, disinteressata di tutti e di tutto, variabile a tratti.
Una relazione tra due individui, che essi siano marito e moglie, amici o amanti, presuppone un rapporto di fiducia che tende a rafforzarsi con l'andare del tempo o sbriciolarsi in una manciata di secondi, per una parola scostante, per un broncio tenuto troppo a lungo, per aver voluto troppo bene. Lei ha vissuto il polverizzarsi di un legame che si definiva indissolubile, imprescindibile da qualsiasi altra cosa, dai diverbi asfissianti con i genitori, dal continuo allontanarsi di lui e le sue scenate pantagrueliche che non stavano né in cielo né in terra, dalla voglia stringente di voler essere autonomamente divisa tra la vita e lo studio, tra le carezze e i pugni. Si sente una piccola orfana, mutilata, mancante di una parte importante del suo cuore ed anche se ci prova non riesce a recuperarla, diventa ingenuamente fredda, graziosa e limpida ma senza alcuna emozione. Si attivano i ricettori del piacere mentre si sdraia beata e si pregusta la lettura che sta per iniziare. I nervi si rilassano mentre aspira fumo e aria che scivola come piombo nel esofago e si disperde nei polmoni, butta la cenere a terra, poggia il libro sui suoi seni, fissa il soffitto e non può fare a meno di osservare la sua vita nelle crepe del muro, chiude gli occhi, le sfugge una perla dorata dall'angolo inferiore, la cicca ormai consumata e spenta le cade di mano e finisce nella scatola in cui tiene tutti i suoi ricordi.
Nella fretta di andare via si è dimenticata di allacciarsi le scarpe e con i capelli sciolti che vibrano al passo dell'andatura, si rende involontariamente conto di quanto tutto sia quantomeno transitorio, di non avere nulla di concreto tra le mani, concetto questo che ribadisce la sua essenza primordiale, quella più antica e selvaggia che dimora assopita nell'antro più buio del cervello, la solitudine. Cosa vuol dire essere soli? Lo si può essere in mezzo ad una ressa, in cui vige l'estremo disordine di un marasma di voci, lo si può essere in due, quando alle sue domande, non seguivano risposte né gesti che indicassero una qualche variazione nel significato. Si può essere soli e stare bene con sé stessi, ma essere comunque solitaria entità che non ha né scopo né fine. Cammina e vaga, i piedi conoscono la via e la mente non più distratta si concede il lusso di tergiversare sulle incognite insolute, sulle cause e conseguenze ipotizzate, sulla tremenda ingiustizia che si compie ogni volta che le tornano improvvise emozioni. Si capovolge ogni punto di vista e la stesura della nuova toponomastica si sostituisce alla concentrata aberrazione.
Sacrificio. Si stampa su ogni nuovo nascituro, dare tutto e tanto senza dare peso a quello che si perde ma solo a quello che si lascia, agli altri, a nessuno. Ha perso anche il vizio di confidare i suoi problemi, i suoi pareri, quando parlare forse alieverebbe un po' di sofferenza, vuole farcela da se, senza sapere che non sempre le forze bastano a superare tutti gli ostacoli. Si china per raccogliere le monete cadute mentre cercava di pagare un caffè, li conta, sono tutti, paga e torna sui suoi passi cercando di dedicarsi al vuoto lavorare. Incomprensione, delicata parentesi dalla quale è difficile uscire ma che muta aspetto e forma nell'attimo stesso in cui si capisce che la cosa migliore da fare è dire "Mi dispiace". Nella complicata totalità del nido famigliare, si ritrae in disparte per non essere vittima sacrificale, Leonida alle Termopili, uno scontro impari in cui conta solo il valore con cui ci si batte o forse solo per attaccare un furibondo litigio che sfocia in malumore e in un'estrema miseria intellettuale. Allora perché continua così maldestramente a cercare in tutti i modi possibili e immaginabili l'evasione dalle catene di una colpa di certo non sua? Perché calpestare tanta bellezza solo per una ripicca? Forse il dramma è più complicato di quanto sembri, i frammenti per definizione non sono un'unità, ma parti di qualcosa di più grande di cui ci sfugge il contorno ma di certo ne avvertiamo in trasparenza le dimensioni.
Si concede al primo venuto che gli fa gli occhi dolci, talmente è tanta la sua voglia di dimenticare le afflizioni giornaliere che non sente né caldo né freddo ma un tepore ed un formicolio che le attraversa tutto il corpo, si sente appagata, ma per quanto tempo? Un giorno, una settimana forse un mese ma a lungo andare si torna punto e daccapo. Se non estrae il succo per secernere l'antidoto dalla radice velenosa che la ammala, come può pensare di salvarsi? Ma ignora ed è favorevole ad essere ignorata. Si tocca il braccio dolente, non ricorda di essersi fatta male, ma la contusione c'è per cui tanto vale curarla, prende una aspirina e alla via così. Si distende nuovamente tra le coperte e il corpo di lui di cui non sa nemmeno il nome e cerca riposo pur sapendo che non lo troverà. Si mette il cuscino in testa per non sentire rumori molesti che non siano quelli dentro di sé ma non passa il battito di un ciglio che il capogiro la costringe a gettarsi nel bagno a vomitare tutto, anima compresa. Si asciuga la fronte perlata di candida traspirazione, si imbatte nella sua immagine riflessa, stormendo a denti stretti "io ti odio, troverò il modo di liberarmi di te, dovesse costarmi la vita", stupita da quel folle linguaggio scoppia a ridere e a correre per casa nuda e con il sangue che le cola giù dal naso.
L'imbarazzo che suscita una visita inaspettata sconvolge tutti i piani per una serata all'insegna del divertimento. Le gote si colorano gradualmente, risente gli odori e i sapori, si accosta sempre di più, senza dare nell'occhio, gli sfiora il braccio, lui si volta, scocciato, prende e se ne va. Immobile sul ciglio dell'abisso è indecisa se lanciarsi nel vuoto o aspettare che la terra le crolli sotto i piedi, ragiona e pensa e non si dà pace. Trovare una soluzione non è sempre un impresa facile, di norma ci si ferma per qualche istante aspettando che ci sia la chiarezza necessaria per valutare e formulare un congettura che se applicata risolve guai e dispiaceri. Ma non le viene in mente nulla, solo un deserto rosso, le viene un mancamento, le tengono le gambe sollevate e le bagnano la fronte, ma non rinviene, arriva un dottore, le somministra una fiala di paracetamolo, la febbre scende, apre gli occhi, si sente avvolta da una fitta schiera di sorrisi falsi e profittatori. Ipocrisia, la trova in ogni persona, tutti hanno qualcosa da nascondere, ma cosa ha fatto lei di così vergognoso, di così turpe da non riuscire a concedersi il perdono? Perché temere di essere semplicemente se stessa, con il suo carattere, con la sua voglia di fare e di reagire? Sfiorisce sempre di più, i mal di testa aumentano, ormai i sedativi non servono. Cerca di togliere la macchia di sangue raggrumato dalla camicetta, sfrega con forza, ma la macchia non va via, per toglierla si dovrebbe tornare al principio della sua vita, all'origine della decadenza, ma più si va indietro e più la memoria si fa vaga, nebulosa, e continua a pensarsi nel giusto anche quando di giusto non c'è rimasto nemmeno un ramo a cui aggrapparsi. Alla finestra scruta il crepuscolo, lontano, in cerca del raggio verde, colpisce il suo spirito e riprende copiosamente a stare male, due aspirine e alla via così. Si massaggia le tempie e nel compiere quel movimento circolare con le dita le balena un'idea disastrosa, si prepara ad uscire, sale in macchina guidando senza interruzioni fino a quando i bruciori non la obbligano a fermasi nel bel mezzo del nulla.
Crisi. Dover scegliere, ad un certo punto, quale sia la via migliore da intraprendere, se per il tuo bene o per il bene degli altri, ma la soluzione è ardua, ti disturba ma non hai nessun altro modo di sapere quale piega prenderai, cerchi ogni possibile soluzione, ma sei solo più confusa, l'ansia di dover dire da qui a vent'anni "perché non ho fatto diversamente?". Sopravvivere con dignità al passaggio della brutta stagione. Ma quando la tempesta c'è l'hai dentro è difficile separarsi da essa ed altrettanto difficile diventa farne a meno quando sei del tutto assuefatto a quella perturbazione.
La lama affonda, lacerando le carni, strato dopo strato, fino a toccare l'osso che si contrae per il contatto del freddo metallo avvolto dal denso e caldo liquido che inizia a sgorgare dai tessuti dilaniati. Inonda tutto il mondo di un velo rosso rubino, massa e essenza, come una carcassa lasciata ad arrostire al sol leone senza nessuno che con la mano in un ultimo affettuoso gesto le chiuda gli occhi.
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