Gemellae N. 40



 
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Compagni di scuola

di Enrico Elle

L'uomo si avvicina alla lavagna, impugnando un gessetto: mentre scrive, il raschio sulla superficie nera sembra un gemito nel silenzio che avvolge i corridoi immersi nella penombra. Quando si allontana di un passo, per osservare l'effetto del disegno, la lavagna cigola ancora per qualche istante sui cardini. Sorridendo, l'uomo posa il gessetto ed infila una mano in tasca. Accarezza cautamente la lama affilata del rasoio.
Carlo strizza gli occhi e pulisce con il palmo della mano il parabrezza appannato del fuoristrada.
"Non mi ricordavo quanto fosse fuori mano la nostra scuola" borbotta Antonella, soffocando uno sbadiglio.
"Sono passati venticinque anni, cara, mica un giorno" Diana sfila distrattamente una sigaretta dalla borsetta.
"Ehi, per favore, in macchina non si fuma! Diglielo anche tu, Andrea" Carlo sfiora con il gomito l'uomo seduto al suo fianco.
"Un po' di pazienza, Diana, siamo quasi arrivati" Andrea cerca nello specchietto retrovisore gli occhi della donna, che, sbuffando, ripone la sigaretta nel pacchetto.
"Mi sembra che questa cena non ti entusiasmi troppo" Antonella la fissa ironicamente "allora perché sei venuta?
"Sempre meglio che passare la serata davanti alla televisione" risponde l'altra, ma a voce così bassa che gli altri passeggeri scambiano le sue parole per un mormorio annoiato.
"A me, invece, l'idea non dispiace, rivedere i nostri compagni di scuola dopo tutti questi anni. Chissà come sono cambiati.
"Soprattutto per sentirti dire che sei ancora bello, vero?" Antonella allunga una mano oltre il poggiatesta per sfiorare la nuca del guidatore "Ricordi che ti vantavi di essere il Paul Newman della classe?
Carlo sta per replicare, irritato dal tono ironico della donna, ma dopo un attimo di esitazione decide di tacere, stringendo le labbra sottili. Andrea si passa nervosamente i palmi sudati delle mani sui pantaloni.
"Neanche a me andava molto di venire, tuttavia… " lascia la frase in sospeso, fino a che si accorge dell'occhiata di traverso che gli ha rivolto l'altro uomo "l'alternativa era accompagnare mia moglie dai suoi genitori".
"Eh già, la lettera parlava chiaro, niente mogli o mariti, solo noi vecchi compagni di scuola" Antonella sente un brivido scenderle gelido lungo la schiena "evidentemente chi l'ha scritta ignorava che io e Carlo ci siamo sposati".
"A proposito, avete scoperto chi ha organizzato la serata?" Diana scruta infastidita l'oscurità oltre il finestrino.
"No, la firma è illeggibile, e poi non sapevo a chi rivolgermi. Noi quattro siamo gli unici ad essere rimasti amici" Carlo ha pronunciato l'ultima parola con un'intonazione leggermente diversa, che non è sfuggita ad Andrea. "Comunque ci siamo quasi, fra poco sapremo".
"Ehi, quanto tempo era che non passavate da queste parti? Non c'è un'anima viva in giro, tutte le case sono buie, come se fossero disabitate" Antonella si stringe nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli biondi.
"Chissà, forse c'è stata un'epidemia" Andrea sorride ironico. "Che spiritoso, pensi di continuare così tutta la serata?" Antonella scambia un'occhiata d'intesa con Diana.
"Se c'è anche Chicco Luciani, ci divertiremo di sicuro. Ma dite, vi ricordate quanto lo prendevamo in giro?" Carlo batte allegramente una mano sul volante.
"è vero, gliene abbiamo combinate di tutti colori" Andrea si volta verso le due donne "tu, Diana, lo canzonavi sempre durante l'ora di ginnastica, era così buffo con quella tuta sformata, mentre Carlo una volta lo fece sospendere dal preside per qualcosa che non aveva fatto. Poveraccio, era proprio una vittima predestinata".
"Bè, anche troppo" Antonella adesso non sembra divertita "quando ci fu quell'incidente al laboratorio di chimica rischiò di rimanere seriamente sfigurato. Allora abbiamo davvero esagerato".
Improvvisamente, il silenzio cala nell'abitacolo del fuoristrada, avvolgendo gli occupanti con una fastidiosa sensazione di disagio.
"Sapete cosa mi ha sempre stupito?" Carlo rallenta in prossimità di un incrocio deserto "Perché non ci abbia mai denunciato, eppure se la passò brutta, per tacere del fatto che non poté fare l'esame di maturità".
"Io non l'ho mai capito, però questo discorso non mi piace, e spero proprio che Chicco stasera non ci sia" Diana si agita sul sedile imbottito.
"Forse perché il professor Grottarelli non si accorse di nulla ed il preside cercò di minimizzare l'incidente. A proposito, ci sarà stasera il vecchio Grottarelli?" Andrea evita ostentatamente di incrociare lo sguardo dell'uomo alla guida del fuoristrada.
"Ora lo saprai, siamo arrivati" con un cenno del mento, Carlo indica la grande costruzione davanti a loro, immersa nelle tenebre.
"Siamo in anticipo, evidentemente. Non ci sono macchine nel parcheggio, ed è buio dappertutto" Antonella si guarda attorno, perplessa.
"Un momento, mi sembra di vedere un'ombra vicino al portone" Carlo sfila la chiave dal quadro e subito la facciata dell'edificio torna nelle tenebre.
"Benvenuti ragazzi, vi ho riconosciuto subito" l'uomo che si è materializzato dal buio è basso, massiccio, calvo, con un naso pronunciato e la voce roca.
"Professor Grottarelli, per lei gli anni non passano mai!" Andrea stringe la mano paffuta dell'uomo, che sta fissando incuriosito i volti delle due donne.
"Sciocchezze, ho quasi ottant'anni. Antonella e Diana, vi avrei riconosciuto in mezzo a mille persone, non scordo mai un volto, io"malgrado sorrida, la voce cavernosa del vecchio ha un'intonazione vagamente minacciosa.
"Bè, siamo i primi, mi pare" Carlo rivolge un'occhiata nervosa allo spiazzo deserto.
"Non so, io sono arrivato solo qualche minuto fa però ho sentito dei passi e delle voci al primo piano. Vogliamo andare a vedere?
"Hai notato che non ha perso la brutta abitudine di sputare mentre parla? " Diana si è accesa una sigaretta con un sospiro di sollievo.
"Altrochè, ho evitato per miracolo uno dei suoi proiettili. Però c'è qualcosa che non capisco, Grottarelli ha detto di essere arrivato da poco e di aver sentito voci nella scuola. E allora, come mai non c'è nessuna macchina nel parcheggio?"
L'altra donna si stringe nelle spalle, mentre arriva sbuffando in cima alle scale del primo piano.
"Guardate, laggiù c'è una luce accesa" Andrea indica la soglia illuminata in fondo al corridoio.
"Quella stanza è la nostra vecchia classe, non l'hai riconosciuta?" Carlo affretta il passo, vagamente spazientito "Probabilmente, c'è l'organizzatore della serata. Lei, professore, ha idea di chi possa trattarsi? "
"Veramente la firma era illeggibile, però se dovessi dire la verità, ho avuto l'impressione che fosse quella di… " s'interrompe di colpo quando si accorge che le due coppie sono immobili sulla soglia del locale, con gli occhi sbarrati.
Sulla lavagna, che cigola leggermente sui cardini, è disegnato un grottesco pupazzo che brandisce un coltello, accanto al quale sono scritti i loro nomi di tutti e cinque. Sulla parete accanto alla cattedra è appesa con le puntine da disegno l'ingrandimento della loro fotografia di fine corso di venticinque anni prima. I visi di Andrea, Carlo, Antonella e Diana sono vistosamente cerchiati con un pennarello dal tratto spesso. Le sbavature sullo sfondo in bianco e nero sembrano macchie di sangue.
"Cosa vuol dire? " mormora Diana, mentre schiaccia la sigaretta sotto il tacco.
"Dicevo, credo che la firma fosse quella di Chicco Luciani" la voce del professor Grottarelli si affievolisce in un sibilo roco.
In quell'istante, la luce si spegne e l'aula rimane avvolta nelle tenebre. Il lunghissimo istante di silenzio viene lacerato dall'urlo disperato alle loro spalle, seguito dal fragore della porta sbattuta violentemente: Antonella e Diana strillano terrorizzate, mentre Carlo è rimasto immobile accanto alla lavagna ed Andrea fruga freneticamente nelle tasche della giacca alla ricerca dell'accendino. Quando finalmente lo trova e sta per farlo scattare, la luce si accende nuovamente. Andrea stringe la mano attorno alla maniglia ma prima di abbassarla scambia uno sguardo d'intesa con Carlo:
"Ehi, dov'è finito Grottarelli?" Antonella si guarda attorno, spaesata. "Che razza di scherzo è questo? "
"Era alle nostra spalle, quando siamo entrati, forse era lui che ha urlato" Diana si sta accendendo una sigaretta, con le mani tremanti.
"Aspetta ad aprire" Carlo si avvicina all'amico, accosta l'orecchio alla porta, poi grida con quanto fiato ha in gola "Professore, Grottarelli, è lì fuori? Sta bene?"
Il corridoio immerso nella penombra è silenzioso, tanto che l'eco della ultime parole finisce per rimbombare amplificato per la tromba delle scale, dalle aule deserte fino alla portineria.
"Non risponde, e non sento nessun rumore. Forza, apriamo" Andrea abbassa la maniglia e spinge la porta in fuori.
Quando i due uomini si affacciano sulla soglia, le donne alle loro spalle, non riescono a trattenere un urlo di raccapriccio. Antonella si volta di scatto, portandosi le mani davanti agli occhi, mentre la sigaretta scivola via dalle mani di Diana, che istintivamente si aggrappa alle spalle di Andrea.
Il vecchio giace supino nel corridoio, gli occhi sbarrati, il sangue che sgorga dal taglio sulla gola, un rasoio posato sul petto.
Andrea lo fissa inebetito, le braccia inerti lungo i fianchi, mentre Carlo si è girato per abbracciare la moglie e Diana si è appoggiata alla cattedra, sforzandosi di trattenere i conati di nausea che sente salirle in gola a giri concentrici.
"Dobbiamo andarcene, scappare subito di qui" Andrea si scuote e si allontana di qualche passo, strattonando l'amico.
"Presto, muoviti Antonella" il marito si allontana di qualche passo ma la donna ancora sotto shock finisce per scivolare sulla chiazza di sangue e cadere sul pavimento. Annaspa per l'aria, urlando e quando sente le sue dita stringersi attorno a qualcosa di freddo, strizza gli occhi per distinguerlo nella penombra. Lo scaglia lontano da sé, strillando ancora ma senza più fiato in gola, nel momento in cui si accorge che è il manico del rasoio insanguinato.
"Forza, ti aiuto io" Carlo si china per abbracciare la moglie ed aiutarla ad alzarsi. Si incamminano barcollando, mentre Andrea li chiama a gran voce, gesticolando spaventato dalla cima delle scale.
"Un momento, dov'è rimasta Diana? " Antonella si volta di scatto, liberandosi dalla stretta del marito.
"è Chicco, sono sicura" la donna li fissa dalla soglia della classe, con gli occhi febbricitanti e la voce piatta. Scrolla il capo lentamente, poi si volta verso l'interno dell'aula, indicando con mano ferma il grottesco disegno sulla lavagna.
"Non vi ricordate che lo chiamavamo pupazzo? è la sua firma" si passa una mano davanti agli occhi, soffocando un singhiozzo. Andrea nel frattempo l'ha raggiunta, la prende per mano e corrono insieme verso l'altra coppia. Scendono a rotta di collo le scale, fermandosi solo davanti al pesante portone di legno. Freneticamente, Carlo spinge più volte il pulsante, ma il meccanismo di apertura non scatta. Allora si avvicina al passante e lo tira con rabbia, ma quello resiste, come se fosse stato bloccato. Dopo un interminabile minuto di inutili tentativi, i due uomini cominciano a percuotere freneticamente con i pugni la massiccia porta, fino a cadere esausti sul pavimento polveroso.
"Siamo in trappola" Carlo si passa una mano dal polso dolorante sulla fronte bagnata di sudore. Andrea lo fissa con il fiato mozzo, mentre Diana pare assente ed Antonella è sull'orlo di una crisi di nervi.
"Aprilo, Carlo, per carità, lui è qui dentro, finirà per ucciderci tutti" le ultime parole della donna si esauriscono in un gemito strozzato.
"I telefonini!" Andrea si alza in piedi di scatto, cacciandosi una mano in tasca. Il grido di sollievo si perde in una parolaccia rabbiosa quando si accorge che il display segnala assenza di campo. Rapidamente, anche marito e moglie controllano i propri cellulari, inutilmente.
"Non c'è niente da fare, ha organizzato tutto alla perfezione" Diana sembra aver riacquistato il proprio sangue freddo, anche se la sua voce priva di emozioni trasuda rassegnazione "non avete visto com'è desolata la zona qua attorno, niente telefonini, nessuno che senta le nostre grida. "Chicco lo ha preparato con cura e…"
"Piantala, io non voglio darmi per vinto" Carlo indica le scale che hanno appena disceso "Proviamo in presidenza, lì c'era un telefono. Avanti!" contagiati dalla sua determinazione, gli altri tre lo seguono di corsa, saltando i gradini due a due. "Attenti a non perderci di vista, in questo maledetto buio".
Il lungo corridoio del primo piano è illuminato solo dalla luna piena che si distingue nettamente attraverso i finestroni impolverati e scheggiati qua e là.
"La presidenza era da quella parte" Andrea si dirige con sicurezza verso destra. Quando Antonella scorge la massa informe del cadavere di Grottarelli, distoglie inorridita lo sguardo.
"Possibile che non ci sia una luce che funzioni? Eppure, nella nostra classe…" Carlo deglutisce a stento saliva secca e paura, guardandosi alle spalle, mentre Andrea apre con uno spintone la porta della presidenza. Si gettano verso la scrivania e sollevano il ricevitore dell'antiquato telefono nero. Quando si accorgono che l'apparecchio è muto, cade fra loro un silenzio di gelo, appiccicoso e soffocante come un sudario. Antonella afferra con due dita un foglio accartocciato sul ripiano della scrivania, si avvicina alla finestra e lo legge lentamente, muovendo appena le labbra tremanti.
"La scuola è stata trasferita, questo edificio verrà demolito per farne un centro commerciale. Ecco perché qua attorno è tutto deserto, le luci ed i telefoni non funzionano e c'è solo polvere e silenzio".
"Sentite, dobbiamo tenere la testa sul collo. Lo so che è difficile, ma dobbiamo farcela. Una uscita ci deve pur essere, allora facciamo così, ci separiamo e la cerchiamo. Lui non oserà attaccarci se siamo in due" Andrea gesticola nervosamente, malgrado si sforzi di mantenere un tono calmo.
"Un momento, perché dici lui, io finora non ho visto nessuno" Carlo ricambia lo sguardo dell'altro con diffidenza.
"Chi credi che lo abbia ammazzato Grottarelli, allora?" strilla Andrea, esasperato e poi non lo hai sentito uno scalpiccio, nel corridoio, subito dopo?"
"No, proprio no, eppure tenevo l'orecchio incollato alla porta. Vieni" stringe la mano della moglie, che fissa disperata l'altro uomo, solo per un istante. Carlo, malgrado la penombra pare accorgersene, perché la trascina via con uno strattone.
"Coraggio, proviamo a vedere nel corridoio vicino alla palestra" Andrea cinge la vita di Diana, che resta immobile, fredda e rigida come marmo.
"No, lì non ci voglio andare. Era proprio in palestra che prendevo in giro Chicco, gli dicevo che era goffo, con quella tuta da meccanico, e una volta lo feci scivolare dal quadrato svedese".
Andrea la fissa pensieroso prima di afferrarle nuovamente il braccio. Pallidissima, la donna scrolla il capo, mentre l'altra coppia è già scomparsa oltre le scale.
Carlo sfonda con una spallata l'uscio della portineria e strappa via le imposte in precario equilibrio sui cardini cigolanti. Vedendo le sbarre arrugginite, Antonella si lascia cadere su uno sgabello, con la testa fra le mani, ma si rialza di scatto nell'udire il grido terrorizzato che risuona nel corridoio. Tenendosi per mano, i due corrono nella direzione presa dall'altra coppia.
Andrea è riverso sul pavimento, davanti ad una porta socchiusa. Antonella gli cade a fianco, urlando il suo nome, finché con un sospiro di sollievo si volta verso Carlo, che la fissa con astio, le labbra piegate in una smorfia e gli occhi iniettati di sangue:
"è vivo, è vivo" lo schiaffeggia delicatamente sulle guance. Dopo qualche istante, Andrea riprende i sensi e si alza a sedere. Si passa una mano sulla nuca, soffocando un gemito.
"Dovè Diana? la voce di Carlo è talmente bassa e minacciosa che gli altri due lo guardano spaventati.
"Non lo so, eravamo qui, davanti alla palestra, quando mi è sembrato di sentire dei passi alle mie spalle e prima che riuscissi a voltarmi qualcosa mi ha colpito.
"Ah sì?" sotto lo sguardo sconcertato della moglie, spalanca la porta ed istintivamente allunga una mano sulla parete finché incontra l'interruttore. Imprevedibilmente, una luce così intensa da costringerli a coprirsi gli occhi con le mani inonda la palestra. Urlano terrorizzati, quando si accorgono del corpo di Diana che penzola da una corda, il cappio annodato attorno all'asse più alto del quadrato svedese.
"Scappiamo via, è qui vicino" Andrea si porta una mano davanti alla bocca, trattenendo il conato.
"Ma no, vigliacchi, potrebbe essere viva" nel silenzio irreale della palestra, i passi di Antonella paiono moltiplicarsi all'infinito. Si guarda attorno, finché trova uno sgabello rovesciato. Vi sale e si aggrappa in lacrime alla corda, cercando di scioglierla. Con un urlo disperato, le unghie spezzate sulla canapa dura e fredda, Antonella ricade pesantemente sul pavimento. Mentre Andrea si china verso di lei, Carlo si avvicina alla tasca rigonfia dell'impiccata e vi infila due dita. Estrae un mucchietto di istantanee che fissa rabbiosamente qualche istante, prima di gettarle con rabbia addosso alla moglie.
"Una trappola di Chicco, eh? Siete due maledetti bugiardi, e due assassini, ecco la verità.
Andrea raccoglie una foto e la guarda sconcertato: lui ed Antonella in macchina, ripresi da un teleobiettivo, mentre si baciano ed accarezzano.
"Senti, Carlo, prima o poi…" Andrea si avvicina all'altro uomo, che istintivamente arretra di un passo.
"Tutto organizzato per bene: il falso invito, Grottarelli ammazzato per fingere la vendetta di Chicco, Diana perché vi aveva scoperto e vi ricattava, e adesso…tocca a me, vero?" Carlo scoppia in una risata metallica, gorgogliante. Li fissa ancora qualche momento con odio, prima di voltarsi e scomparire di corsa oltre la soglia.
"Andrea, dobbiamo fare qualcosa, non possiamo lasciarlo da solo" la donna si alza faticosamente, puntellandosi con il palmo della mano sul pavimento in legno della palestra.
"Se ha paura di noi, si nasconderà" l'uomo scuote il capo, dubbioso.
"Sentimi bene" lei lo afferra per le spalle, fissandolo negli occhi "visto che non siamo stati noi, c'è davvero Chicco nascosto da qualche parte. Ora, si sarà accorto che uno di noi è isolato, quindi sarà la sua prossima vittima. è chiaro, vuole ucciderci nei posti in cui ognuno di noi lo tormentava, Diana qui in palestra e Carlo…".
"Lo denunciò al preside e lo fece sospendere, ingiustamente" Andrea schiocca le dita e si getta versa l'uscita, tenendo Antonella con l'altra mano. Salgono di corsa le scale, chiamando a gran voce il nome di Carlo nei corridoi bui e silenziosi. In cima alle scale, Andrea si scioglie repentinamente dalla stretta e corre via, scomparendo subito oltre l'angolo.
"Aspettami, cosa fai?" la voce di Antonella tradisce tensione e paura. Con il fiatone, cammina rasente il muro, terrorizzata dalle ombre che la luce della luna disegna sulle pareti scostate. Dopo un paio di minuti, vede in lontananza Andrea immobile sulla soglia della presidenza:
"Che ti è preso, cretino? Perché mi hai abbandonata così?"
"Volevo arrivare prima per evitarti di vedere…" non trova le parole e deglutisce a stento, allontanandosi quel tanto che basta per farla entrare nella stanza e gettarsi su Carlo, seduto sulla poltrona di pelle, gli occhi sbarrati di paura, un foglio stracciato da un vecchio registro schiacciato nella bocca aperta ed un tagliacarte infilato nel petto.
"No, no, no" l'urlo di Antonella si perde nel locale e pare ricaderle addosso come una valanga di minuscoli pezzi di vetro taglienti che le graffino il volto. "No, no" ripete mentre freneticamente cerca di strappargli la lama dal petto.
"Aspetta, Antonella, è inutile" Andrea cerca dolcemente di allontanare la mano della donna dall'impugnatura del tagliacarte "è morto. Vieni via".
"Non mi toccare" lei si allontana di scatto, schiaffeggiando la mano dell'uomo. Lo fissa con gli occhi spalancati e fissi, le labbra tremanti. "Forse Carlo non aveva torto, solo che hai organizzato tutto da solo, per eliminare Diana, che ti ricattava e… lui" si volta verso il corpo del marito, il grido di muto dolore smorzato da quel vecchio foglio ingiallito ficcato in gola a forza "fingendo che sia la vendetta di Chicco. Ma io ti ho scoperto, e ti denuncerò, lo giuro, dovrai ammazzarmi per impedirmelo. Assassino!" Ha urlato l'ultima parola con tutta la rabbia che sente crescere dentro di sé e piano piano sta scacciando la paura, le lacrime che rigano le gote. Sconvolta dal dolore, si getta addosso ad Andrea e con una spallata riesce a farlo barcollare, poi incespicando riesce a fuggire nel corridoio. Corre via, disperatamente, senza sapere dove stia cercando la propria salvezza. Andrea si è aggrappato allo stipite della porta, per non perdere l'equilibrio. Stringe le labbra, rabbiosamente, poi lancia uno sguardo circolare alla presidenza ed al corridoio immerso nel buio. Alza gli occhi al soffitto e li strizza come stesse sforzandosi di ricordare qualcosa. Si avvicina alla mappa dell'edificio appesa alla parete e vi accosta un dito, seguendolo finché non trova il laboratorio di chimica. Si avvia lentamente verso l'angolo del corridoio opposto alla direzione in cui è fuggita Antonella.
La donna cammina quasi in trance, asciugandosi le lacrime con una mano tremante: quando d'improvviso si accorge di essere sulla soglia della loro vecchia classe, arretra atterrita davanti al cadavere del professor Grottarelli. Un cigolio, lento e costante, attrae la sua attenzione con una fluidità quasi ipnotica: la lavagna ondeggia sui cardini, come se qualcuno vi avesse scritto sopra solo qualche istante prima. Incurante del pericolo, la donna si sporge nell'aula, portandosi una mano stretta a pugno davanti alla bocca quando vede che quattro dei nomi scritti con il gesso sono stati cancellati con un tratto dritto e sicuro: resta solo il suo. Spaventata, resta muta ed immobile, mentre la sua mente lavora febbrilmente:
"è stato qui, poco fa. Allora non può essere stato Andrea, prima era con Diana e poi con me" si volta di scatto, mordendosi il pugno fino a che il dolore diventa insostenibile.
"Diana in palestra, Carlo in presidenza, Andrea… Andrea aveva causato quell'incidente nel laboratorio di chimica. Sì, è così!" Antonella si allontana di corsa, con il cuore in gola, nella direzione in cui ricorda vagamente si trovava il laboratorio del professor Grottarelli, dove allora Chicco rischiò di rimanere sfigurato e dove adesso Andrea è in pericolo di vita, forse.
All'angolo del corridoio, si arresta di colpo, il cuore che sente esplodere nel petto, quando sente un urlo strozzato provenire dalla stanza più lontana, una lama di luce che filtra dalla porta socchiusa.
"Andrea, Andrea" urla disperatamente "ti prego, non mi lasciare sola".
Adesso il silenzio sembra regnare nel locale in fondo al corridoio: camminando come un automa, le braccia rigide lungo i fianchi, la donna si avvicina alla porta, richiamata da un'attrazione impercettibile ma tenace. Immobile, accanto allo stipite, fissa il corpo di Andrea, steso supino, le gambe contorte negli spasimi dell'agonia, le mani sul viso, quasi avessero voluto strappare via l'acido che lo ha quasi sfigurato. Antonella avanza di un passo ed urta con la scarpa la provetta di vetro sul pavimento. Si china a fatica, con un movimento che la lascia svuotata di forze ed emozioni, fissando l'etichetta sbiadita appiccicata sulla fiala.
"Sì, cara, è lo stesso che mi tiraste addosso" Antonella si volta di scatto e resta impietrita a fissare il viso sorridente del professor Grottarelli, che ride silenziosamente, il naso carnoso e la calvizie che pare luccicare alla luce al neon che illumina il laboratorio.
"Lei era morto" mormora la donna, stringendo ancora la provetta.
"Lui è morto, e lo è ancora" l'uomo rivolge distrattamente un'occhiata alle sue spalle, mentre la voce roca diventa improvvisamente quella chiara e limpida di un giovane. Sempre sorridendo, si strappa via la calotta che gli copriva i folti capelli scuri, il naso posticcio e si spazzola via il cerone sulla pelle.
"Mi riconosci, adesso, Antonella?" la donna scuote il capo, le labbra mute sconvolte da un tremolio incontrollabile.
"Sì, sono stato io, aveva ragione Diana, è sempre stata la più intelligente di voi quattro. Sai, ho aspettato, per anni, l'occasione di farvela pagare e quando ho letto che la scuola veniva trasferita, il piano ha cominciato a prendere forma. Ti ho fotografato con Andrea, ed ho messo le istantanee nella tasca di Diana, perché Carlo le trovasse e sospettasse di voi. Sono stato in gamba ad ingannarvi, là fuori, eh? Grottarelli lo avevo stordito e nascosto dietro una panca, in corridoio: quando ho tolto la luce, vi ho chiusi dentro e gli ho tagliato la gola, poi sono sceso a sbarrare il portone. In trappola, finalmente, come topi".
"Non è vero Antonella si è accasciata accanto al corpo di Andrea".
"Sì, e l'idea me l'hai data proprio tu, tanti anni fa quando mi dicesti che l'unica cosa che sapevo fare era imitare i professori. Ma adesso si è fatto tardi, devo andare" scrolla la manica per controllare l'orologio. "è passata mezzanotte, l'ora dei fantasmi, ed io devo scomparire".
"Perché non mi uccidi?" la donna non riesce a distogliere gli occhi da quel viso grottesco, con il cerone a chiazze ed i capelli arruffati.
"Pagherai, anche tu come gli altri, per quello che mi hai fatto. Ricordi quante volte mi hai accusato davanti ai professori, quante volte mi hai fatto ingiustamente punire? Ebbene, quando uscirò di qui, chiamerò la polizia, che ti troverà da sola, con quattro cadaveri" agita sorridendo le dita di una mano, il pollice ripiegato sul palmo "uccisi con delle armi su cui ci sono le tue impronte digitali, e solo le tue. Poi, nella tasca di Carlo ci sono le fotografie con il tuo amante, e non la lettera d'invito, che ho già fatto sparire. Sarai sola, incapace di provare la tua innocenza, preda della follia che ancora adesso ti fa accusare un tuo vecchio e sfortunato compagno di scuola".
Antonella fissa inebetita la parete, senza reagire: chiude gli occhi ed abbassa la testa, mentre si ricorda di aver impugnato il rasoio insanguinato, delle unghie spezzate sulla corda stretta al collo di Diana, delle dita attorno al tagliacarte nel petto di Carlo, della provetta che ancora stringe in pugno. Urlando, la getta via da sé.
"Capirai, Antonella, cosa voglia dire essere accusato di qualcosa che non si ha commesso, ma di non poterlo provare, di avere tutto contro. Ci si sente intrappolati, come un insetto nella ragnatela".
Ridendo sommessamente, l'uomo si allontana, lentamente, finché i suoi passi sul pavimento polveroso del corridoio sono solo un'eco ossessiva nella tromba delle scale.
Lontano, in fondo al corridoio, il lento cigolio della lavagna sui suoi cardini si arresta del tutto, per sempre.



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