Gemellae N. 40



 
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Dresda, perché?

di Alessandro Scano

"Sento che la voce mi manca e la lingua si blocca e un fuoco mi brucia nelle vene. Un rombo cupo mi assorda e gli occhi miei non vedono più nulla e tremo..."
Dresda, 13 febbraio 1945.

Tredici minuti dopo le dieci Rosa Müller si attardava a correggere i compiti di Walter, il primogenito; non aveva fatto caso al sordo brontolio che squarciava il cielo livido e lattiginoso. Abitava in uno squallido caseggiato di periferia lasciatole dal marito, al fronte da tre anni. Il führer non faceva parzialità e detestava le mollezze borghesi: l'ultima licenza risaliva ad otto mesi prima e le lettere dal fronte orientale, prima puntualissime, ora lei le attendeva inutilmente da troppo tempo. Inge Bronswick era al penultimo mese di gravidanza e non vedeva il suo adorato Karl da fme estate; ormai sentiva che solo le sue braccia avrebbero cullato il frutto del loro eterno amore. Richard invece compiva otto anni proprio quel giovedì e sua mamma aveva fatto l'impossibile per rimediare la farina necessaria alla torta, che non era mancata in tavola neppure quel giorno fatidico. Tutti e tre non avrebbero mai sentito l'inutile allarme aereo.
Fino al 13 febbraio del '45 Dresda era stata graziata dagli alleati; quella splendida città d'arte, considerata un gioiello d'inestimabile valore dagli stessi americani, era rimasta intatta per le future e più fortunate generazioni. La "Firenze della Sassonia" era la più bella e romantica città della Germania, una tra le più affascinanti d'Europa. Così ce la descrive Gunther Grass: ".... . aveva scorci di grande suggestione, palazzi barocchi e rococò, piccole case di legno e mattoni fulvi che risalivano al medioevo gotico, vicoli punteggiati di taverne e birrerie senza tempo... ".
L'immunità di cui Dresda aveva goduto cessò bruscamente la notte di giovedì grasso dell'ultimo anno di guerra; fmo ad allora era addirittura circolata la voce, del tutto infondata, che vigesse una sorta di patto tra le due aviazioni nemiche: da un lato la RAF s'impegnava a non bombardare la città tedesca, mentre la Luftwaffe avrebbe risparmiato Oxford. Ma il bel sogno era destinato a svanire, come d'altronde era già accaduto per la città eterna il 19 luglio del '43: chi di noi non ha in mente l'immagine di Pio XII soffocato dalla folla del quartiere San Lorenzo appena bombardato, che invoca la misericordia divina?
Quel giorno di carnevale era stato certo festeggiato in tono minore, ma per i numerosi abitanti - non meno di un milione, secondo le stime più attendibili - la guerra sembrava lontana. Da alcuni giorni il centro storico della città ospitava un circo famoso che aveva richiamato migliaia di bimbi innocenti, più del solito perché il cuore del paese era affollato di scampati, profughi dei tanti villaggi della Slesia, della Prussia e della Pomerania Orientale incalzati dai soldati dell'Armata Rossa. Convinti d'essere ormai al sicuro, quegli sfollati sarebbero stati inceneriti solo poche ore dopo, in uno degli episodi più atroci e controversi di tutta la seconda guerra mondiale. L'impressionante cifra del massacro - ben 135.000 morti -secondo solo ai bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, ha aperto interrogativi tuttora irrisolti, perché non è affatto chiara la ragione che indusse gli alleati a violare la città inviolabile. Oggi, tra le diverse ipotesi formulate, si fa strada quella d'una prova di forza degli angloamericani, decisi a mostrare al potente alleato sovietico di quale capacità distruttiva disponessero. Appare invece più debole la tesi di chi sostiene fossero soprattutto mossi dalla volontà d'impartire l'ennesima lezione ad un nemico ormai allo stremo. Sessant'anni è un lasso di tempo sufficiente per riflettere su quei fatti con la dovuta pacatezza; credo anzi sia un obbligo, giacché bisogna assolutamente evitare la spudorata strumentalizzazione di quegli eventi. Nell'anniversario di quella carneficina folti gruppi di fanatici neonazisti hanno infatti rievocato la tragedia, occultando di proposito il retroterra storico che l'aveva generata. In quest'occasione non è stata spesa neanche una parola per ricordare ad esempio il tremendo precedente di Londra, martoriata dall'alto per settimane dagli stukas tedeschi (i giornali italiani, in quella circostanza, non trovarono di meglio che titolare a caratteri cubitali in segno di trionfo: "Notte di terrore a Londra") o per rammentare ai tanti smemorati la fosca origine del verbo coventrizzare. Un termine coniato all' indomani della distruzione di Coventry che ha assunto per antonomasia il significato di radere al suolo, fare terra bruciata.
E' sempre molto facile ragionare col senno di poi; molto più complesso è il tentativo di ricostruire le epoche passate con l'intento di evidenziarne gli inevitabili pregiudizi, gli errori o la fatale imprevidenza. Uno storico onesto e serio infatti dovrebbe sempre collocare nella sua giusta prospettiva quella lotta che oppose il più abominevole, tracotante e sanguinario regime del XX secolo ai difensori della libertà e della dignità dell'uomo.


      Associazione Culturale Gemellae

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