Gemellae N. 38

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Laura
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  Laura
Laura

di Carlos Jiminez Torres

Non provava nulla di particolare adesso. Mentre tornava nella sua camera, pensava solo a cosa sarebbe cambiato nella sua vita.
La sirena dell'ambulanza illuminava, a brevi intervalli, le bianche mura della casa. Laura riuscì solo a salire le scale. Arrivò al suo letto e si stese. Era esausta. Di sotto, due infermieri annoiati portavano via il corpo di Hernan, stroncato da un infarto. Un uomo in giacca grigia rivolgeva le solite domande alla zia Wanda. La voce della donna, più squillante del solito, risuonava in ogni stanza: "Si, viveva qua... No che non lavorava, passava le giornate in casa, con me... Soldi?!? Non ne aveva! Quelli che servivano li mettevo io".
Le indagini non durarono molto. Hernan era un grassone. Non si allontanava mai dalla sua poltrona, dalla sua birra e dal suo tabacco. Il cuore non aveva retto. Si trattava di morte naturale, era evidente.
Laura rimase a lungo con gli occhi chiusi, ma senza dormire. Non era tutto quel trambusto a tenerla sveglia. Erano i suoi pensieri che non smettevano di agitarsi. La mente non faceva che tornare all'anno orribile trascorso e, ora, finito.
Quando era arrivata in quella casa, sette anni prima, era primavera, come adesso. Allora Laura aveva solo otto anni e a decidere per lei, dopo la morte dei genitori, era stato un tribunale: fino alla maggiore età, aveva detto il giudice, avrebbe dovuto vivere con la zia Wanda. In quel momento, la bambina non aveva pensato a cosa potesse significare quel cambiamento; non ne aveva avuto né il tempo, né la voglia.
Nemmeno Wanda aveva mostrato alcun entusiasmo al momento della notizia. Semplicemente si era adeguata. Quando era giovane, la donna era stata anche sposata, ma senza avere figli. Dieci anni circa, né belli né brutti. Poi il marito era morto, lasciandole la casa dove ora viveva.
Dicevano che fosse una villetta, ma assomigliava più a una baracca: due piani, poche stanze sporche, un intonaco bianco e cadente sulle pareti. Davanti, all'entrata, c'era un piccola veranda che guardava su un prato giallo e spelacchiato.
Per un po' di tempo, dopo la morte del marito, si era mantenuta lavorando come cassiera in un supermercato. Di quel periodo le erano rimasti la tendenza alla sedentarietà, qualche soldo e tanti chili. Erano anni, insomma, che Wanda viveva da sola. Nessuno le aveva mai detto cosa fare, o come comportarsi con una bambina. Non interferire nella vita della nipote le era parsa la cosa più naturale.

All'inizio Laura era spaventata da quella casa buia e maleodorante e da quella donna così silenziosa. La zia le sembrava un grosso e minaccioso elefante. Le poche volte che si muoveva, Wanda faceva tremare il suolo, come un pachiderma che migra. Da lontano, Laura sentiva i suoi passi pesanti e correva a nascondersi. A volte, si faceva coraggio e provava a spiarla. Si affacciava alla cucina, mentre Wanda era ai fornelli: vedeva quella donnona china con tutto il corpo sulle pentole, avvolta dal vapore delle minestre. Allora Laura pensava a una di quelle streghe delle favole che le raccontava la madre.
Crescendo, Laura aveva messo da parte queste fantasie, ma il rapporto con la zia non era migliorato. Alla fine, erano arrivate a un tacito accordo, basato sulla reciproca indifferenza. Più stavano assieme, più Wanda e Laura si ignoravano. In questo modo riuscivano a sopportarsi.
Le giornate scorrevano senza variazioni. Tornando da scuola, nel pomeriggio, Laura sapeva di poter trovare la sua coinquilina sempre lì, sul divano, il corpo grasso avvolto nello stesso vestito largo, qualcosa da bere accanto e la televisione accesa. Per il resto, nella casa regnava il silenzio. Le uniche parole scambiate erano quelle strettamente necessarie: "Passami l'acqua", "Hai fatto spesa?", e poco altro.
Una situazione di cui non sembrava soffrire nessuno. L'unico pensiero che davvero tormentava Laura era l'idea che quella fosse la sorella di sua madre. Dei suoi primi anni di vita ricordava poco, e quella materna era l'immagine più indefinita. Ogni volta che chiudeva gli occhi e provava a immaginarla le appariva il brutto volto di Wanda.
Nell'ultimo anno, le cose erano decisamente cambiate. Da quando erano iniziate le visite di Hernan, il compagno di Wanda, quel precario equilibrio si era perso per sempre. L'incontro tra i due non era stato dei più romantici. Si erano visti, per la prima volta, in un supermercato, in occasione di una delle rare uscite di Wanda. Si erano incrociati nei pressi dello scaffale degli alcolici. L'approccio di Hernan era stato piuttosto diretto. Attratto dalle curve sinuose della donna, Hernan aveva afferrato dal ripiano, con non curanza, una bottiglia di rum scadente e si era diretto verso di lei: "Che ne dici se ce la scoliamo assieme?". Di fronte Wanda si vide un uomo malvestito, con una pancia piuttosto gonfia e pochi scarmigliati capelli. Di certo era più vecchio di lei. Rimase interdetta: era la prima volta da anni che un uomo le rivolgeva la parola. Questo particolare bastò a convincerla, a mettere da parte ogni titubanza. "Possiamo andare da me..." fu l'unica risposta che le venne di dare.
Se la visione della zia poteva infastidire Laura, la presenza di Hernan le risultò del tutto insostenibile. Lui aveva meno di sessanta anni e da tre aveva smesso di lavorare. Conosciuta Wanda, aveva pensato che fosse inutile continuare a pagare l'affitto del suo monolocale e aveva deciso di trasferirsi dalla compagna. Del passato di quell'uomo zia e nipote non sapevano altro.
Se prima Laura non aveva mai sofferto per il fatto di non avere nessuno con cui comunicare, ora iniziava a sentirsi smarrita e sempre più debole. Questo senso di angoscia lo provava soprattutto quando era a casa. Lì, doveva sopportare le minacce di Hernan. "Il grassone pelato", come lo chiamava Laura a mezza voce, imprecava continuamente contro lei e la zia. Abbandonato sul divano della veranda, dava ordini alle due donne di casa. Laura faceva finta di non sentire, ma Wanda ubbidiva senza protestare.
Laura non aveva molti amici, ma iniziò ad attendere con ansia le ore passate a scuola. Anche dopo, una volta uscita dall'aula, rimaneva a passeggiare per la città; saliva sul primo autobus che le capitava, e poi camminava di nuovo. Solo allora poteva tornare a casa, stordita dalla stanchezza e pronta ad affrontare il suo personale incubo.
Quando andava bene, correva in camera sua, senza vedere nessuno. Altre volte, non poteva fare ameno di incontrare Hernan. "Resta a tavola con noi", le chiedeva gentile. Lei si sedeva al suo posto. In quei casi era costretta ad assistere ai violenti litigi tra il grassone e la zia, a sentire le urla sempre più alte di quei due.
Una sera aveva provato a sottrarsi a quella tortura. Hernan, allora, l'aveva colpita con forza. "È questo il modo di comportarsi con chi ti vuole bene?", aveva aggiunto lui fissandola con disprezzo. Laura cercò di restare impassibile e di trattenere le lacrime. Allora, per la prima volta, Wanda aveva reagito, provando a fermarlo, e aveva finito per subire tutta la sua ira. Laura aveva assistito immobile. "Finalmente ho anch'io una vera famiglia" le venne di pensare.
Per Laura il desiderio di sparire e di non vedere più quelle facce si faceva pressante. Un pomeriggio percorrendo il viale che la portava a casa, a distanza di parecchi metri, sentì delle sirene provenire dalla direzione in cui abitava. Davanti alla villetta della zia, vide una piccola folla radunata. Mentre percorreva la distanza che la divideva da casa fu presa da una strana eccitazione. Facendosi largo tra i curiosi riuscì a salire i gradini che erano davanti al portone principale. Una volta dentro trovò due poliziotti che le andavano incontro. Li superò e arrivò alla porta della cucina. Non ebbe bisogno di entrare per capire cosa fosse successo: dal corridoio la prima immagine che le saltò agli occhi fu quella di un lago rosso; solo dopo pochi secondi poté distinguere i due grossi corpi, quello di Hernan e quello di Wanda, stesi privi di vita. All'inizio ebbe difficoltà a trattenere un sorriso, ma subito dopo si tranquillizzò. Uscita sul prato davanti casa provò una forte debolezza, un senso di vertigine. Di fronte a lei c'era uno dei due poliziotti che aveva incrociato prima. Col sole che le sbatteva in volto non riuscì a distinguerne bene i tratti. "Stiamo per risolvere il guasto e tra poco questo lago sparirà, non ti preoccupare", le disse. Furono quelle strane parole, così contrastanti con tutto quello che aveva visto, a scuoterla. Per un po' Laura rimase a fissare quell'uomo. In principio notò il colore della sua divisa: non era quello della polizia, ma dei pompieri. Aprendo meglio gli occhi vide l'enorme pozzanghera formatasi nel giardino, l'idrante rotto e gli uomini attorno che tentavano di sistemarlo. Sulla veranda della casetta il grassone e la zia fumavano placidamente una sigaretta, intenti, come il resto della folla, a guardare quello spettacolo.
Non le era capitato altre volte di sognare ad occhi aperti. A spaventarla, però, fu soprattutto il ricordo della sensazione di piacere che aveva provato alla vista dei due cadaveri.
Col tempo Hernan prese sempre più coraggio. Pestava Wanda ogni sera, era l'unica ragione che lo spingesse a sollevarsi dalla sua sedia. Wanda non reagiva. Si rannicchiava a terra, in un angolo. Lui allora, per non chinarsi, per non sforzarsi troppo, la prendeva a calci. Quando era sicura che il suo compagno fosse soddisfatto, Wanda si alzava, piano. Senza dire nulla, prendeva la scatola dei sonniferi dal cassetto della cucina, saliva nella sua camera da letto e provava a chiudere gli occhi, fino al giorno dopo.
Quello che organizzava Hernan era un vero spettacolo con repliche infinite. Aveva bisogno di uno spettatore. Solitamente aspettava che Laura tornasse dalla scuola. Allora, lui iniziava. Quando aveva finito, si voltava verso la ragazza e le sorrideva compiaciuto. Lei guardava immobile, paralizzata.
Fino ad allora Laura aveva odiato la zia, ma in quel momento non sapeva più cosa pensare. Avrebbe voluto parlarle, dirle qualcosa, ma non ci riusciva. Non ne era capace e, poi, c'era lui... C'era sempre, lì, seduto ma pronto ad alzarsi per inscenare la sua parte migliore. Anche quando era a scuola, Laura non poteva più smettere di pensare a quella casa, a quel grassone pelato, a sua zia. Ora, più che mai, avrebbe desiderato sparire: uscire una mattina e non tornare più. Quando percorreva la strada di casa sentiva la tensione crescerle addosso, sapeva già cosa la aspettava. Immaginava che qualcosa sarebbe cambiato, prima o poi, ma non poteva capire come.
Quando arrivò a casa, quel giorno, Laura notò un insolito silenzio. La zia era sulla veranda, immobile, col solito sguardo spento. Poi sentì un rumore dall'altra stanza, all'interno: una bottiglia rotta e la solita familiare voce: "È finita, Wanda, cazzo! Portamene un'altra!". Laura poté vedere il terrore sul volto della zia, la sentì tremare di paura. Per la prima volta si accorse delle lacrime che le affioravano in volto. "Lascia stare, zia, gliela porto io" disse Laura. Entrò in cucina. Tirò fuori la birra dal frigo e la aprì. Prese dal cassetto alcune pasticche del sonnifero, ne svuotò mezzo tubetto. Le pestò con molta cura e versò tutto nella bottiglia. Wanda era sulla porta che guardava.
Laura entrò nella stanza. "Quanto ci hai messo, brutta vecchia?!?" urlò Hernan senza voltarsi. "Ah, ma sei tu, piccola... Grazie..." le disse sorridendo. Poi prese la birra e fece il primo lungo sorso. Ruttò e bevve ancora. Laura raggiunse la zia. Erano in cucina quando sentirono un lamento sommesso venire dall'altra stanza. Aspettarono a lungo, prima di andare a vedere: Hernan era sulla sua poltrona, nella sua posizione classica. Sembrava addormentato come tante altre volte, con la bocca spalancata. Dalla mano destra pendeva la sua amata bottiglia, ancora saldamente stretta.
Wanda guardò Laura e le sorrise, come non aveva fatto mai: "Vai a riposare adesso, piccina. Non ti preoccupare più. Al resto ci penso io".
 Associazione Culturale Gemellae

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