Il Figlio
di Ernesto Cau
Forse quella fu la notte più lunga della mia vita, forse la più oscena, di sicuro, e non esagero, la più amara di tutta la mia esistenza. Fu la notte in cui nacque mio figlio, il mio primogenito, Alexander. Ricordo che ero là, nella piccola anticamera alla stanza da letto, in un misto tra eccitazione e impotenza, ad ascoltare le urla strazianti della mia dolce moglie Melanie che stava dando alla luce mio figlio. L'orologio suonò l'una. L'ostetrica aprì timidamente la porta e mi venne incontro con il piccolo fagotto di merli e pizzi che conteneva mio figlio, un bellissimo maschietto. Oltre alla mia piccola creatura, la donna, recava anche una notizia funesta e terribile. Melanie, la mia dolce Melanie, era morta durante il parto. Il mio cuore si gonfiò prima di una incommensurabile tristezza, fino a sfociare in un odio profondo, in un rancore indefinibile, verso quella piccola creatura che ancora l'ostetrica teneva tra le braccia. Così tutto ebbe inizio. Non posso non confessare di essere stato un padre pessimo, indegno. Quasi ogni sera uscivo con i miei più vecchi amici e bevevo, bevevo fino a perdere il lume della ragione, ed anche, talvolta, conoscenza. Così, nel frattempo, mio figlio Alexander, imparava ad odiarmi, come solo si può odiare il proprio peggior nemico. Per questo ed anche perché non ce la facevo più a vedere il suo tenero viso da assassino, lo affidai alle cure di una delle sorelle di sua madre, l'unica che, per sua scelta, decise di non contrarre matrimonio. Lucie, così si chiamava la sorella di mia moglie, trattò Alexander come fosse davvero suo, e questo, non certo in quanto tenesse a me, quanto perché Melanie potesse osservare, dall'alto dei cieli, dove sicuramente dimorava, il suo unico figlio allevato come un principe. In effetti, Lucie, trattò Alexander esattamente nello stesso modo in cui, sono certo, avrebbe fatto Melanie. Ma non come avrei voluto io. Fu per questo che decisi con rabbia di strapparlo alle cure amorevoli di sua zia e chiuderlo in un austero collegio di Londra. Pagai fior di quattrini per tenerlo chiuso là dentro, come un prigioniero, ma almeno, in questo modo, potevo tenere lontano colui che ritenevo l'unico e solo responsabile della morte di mia moglie. In quegli anni Alexander coltivò ancora di più il suo odio nei miei confronti, credo, ne sono certo, che volentieri mi avrebbe voluto vedere morto, sepolto sotto alcuni buoni metri di terra. Non nego che lo avrei voluto anche io, dopo la morte di Melanie, la mia vita non aveva più senso, andavo avanti solo per inerzia. Arrivò alla fine lo sventurato giorno in cui Alexander compì quindici anni. In quello stesso periodo io ero fuori città per lavoro così gli permisi di dare un festa nella nostra vecchia casa di famiglia. Come si dice, occhio non vede, cuore non duole. Dopo una settimana tornai dal viaggio di lavoro e con un taxi raggiunsi immediatamente casa. Trovai Alexander seduto sulla mia poltrona al centro del salone davanti al camino. Mi stava aspettando, pur sapendo che io non avrei certo gradito la sua presenza. Furente mi avvicinai verso di lui, "Cosa ci fai ancora qui?". "Ti aspettavo, padre carissimo!" il suo tono di voce era insopportabile, mi stava deridendo deliberatamente e questo non potevo tollerarlo. "Non ho nulla da dirti, quindi vedi di andare nella tua stanza e uscire dalla mia vita il più presto possibile!" "Oh no, padre" disse alzandosi dalla poltrona e fissandomi dritto negli occhi, "io ho tantissime cose di cui parlare con te. Quindi ora vedi di sederti e di non farmi perdere la pazienza. Non sarebbe bello se questo accadesse!" Cercai di ribattere ma Alexander non me lo permise. Con calma e senza scomporsi tirò fuori dalla giacca una pistola e me la puntò contro. Ero impietrito dall'orrore. I suoi occhi erano iniettati di follia. Ed io ne ero l'unico responsabile. "Siediti!" mi ordinò, ed io non ebbi altra scelta se non quella di obbedire ciecamente. Alexander con la stessa calma fredda di prima rimise a posto la pistola, si sedette davanti a me e si esibì in un agghiacciante sorriso. Lo riconobbi subito, era il sorriso amaro della morte che veniva a trovarmi. "Hai fatto molti errori, padre mio!" proruppe distogliendomi dai miei pensieri, "Sei un povero derelitto senza anima. Ma come hai potuto anche solo pensare che fossi io la causa della morte di mia madre. Ero solo un neonato in fasce, innocente. Ma tu mi hai addossato colpe senza fine, cercando in ogni modo di togliermi di mezzo. Certo non fisicamente, tua moglie non te l'avrebbe mai perdonato…" "Se tu non fossi nato, Melanie non sarebbe morta, ed ora sarebbe qui con me…" cercai di ribattere. "Egoista!" urlò, "non hai pensato quanto sarebbe stato difficile per me non avere una madre? Certo zia Lucie ha cercato di darmi tutto l'amore possibile, ma non poteva di sicuro essere lo stesso" il suo sguardo si fece ancora più intenso, quasi mi avrebbe potuto incenerire, "Ero il vostro primogenito, avreste potuto avere altri figli, ma è sopraggiunta la polmonite e la mia nascita prematura. Forse per un terzo ho anche io la mia colpa, ma tu? Sei sicuro di non avere anche tu il tuo terzo di colpa?" "Cosa vai blaterando?" gridai furente, "Io ho cercato di aiutarla…" "Ma davvero? Che dolce marito…" mi schernì, "Sei solo un grandissimo bastardo… Forse non ti eri accorto che tua moglie aveva scoperto che la tradivi? È questo che l'ha uccisa! Il dispiacere le ha aggravato la malattia e fatto nascere me prima del tempo dovuto!" "Menti! Non ho mai tradito tua madre!" "Sei tu che menti, padre! Tradisti mia madre tre mesi prima della mia nascita, per giunta con la sua migliore amica, Hanna, la sua confidente. Non ti eri accorto che il loro rapporto era molto cambiato negli ultimi tempi? No eri troppo preso da te stesso per accorgerti che lo sguardo di tua moglie era sempre triste" fece una pausa e il silenzio divenne un macigno che incombeva su di me, "Sei solo un grande bastardo, un infame che ha tradito sua moglie e addossato tutte le colpe della sua morte sul suo unico figlio, trattandolo come un pezzente immeritevole anche di una sola briciola d'amore!" Quelle accuse risuonarono nella mia mente con prepotenza. Avrei davvero voluto gettarmi fuori dalla finestra, ma di certo Alexander non me lo avrebbe permesso. Voleva ferirmi e restituirmi il male che gli avevo fatto, ma non con la morte. "Sei patetico, lo sai? Sei così patetico da non saperti prendere la responsabilità delle tue azioni, addossando le tue colpe a chi non ne aveva alcuna. Fai veramente pietà!" "Mi dispiace!" balbettai con voce strozzata. "Davvero? E credi che questo mi possa bastare? Che possa cancellare il male che mi hai fatto?" fece un'altra pausa densa di silenzio, "No padre, non potrai trovare perdono né presso di me, né presso Dio! L'inferno già ti aspetta a braccia aperte!" "Ma come sai tutte queste cose? Chi te le ha messe in testa?" "Il Giudice Supremo, colui che giudica le colpe e i peccati di noi mortali. È lui che mi ha raccontato il tuo dramma, lui mi ha insegnato a comprendere l'universo. Lo fa con tutti coloro che lo raggiungono. Con tutti coloro che muoiono e devono salire a lui per il Giudizio Finale!" "Ma cosa dici? Tu non sei morto! Io ti vedo!" "No, ti sbagli, padre! Io sono morto! Stasera stessa ho usato questa stessa pistola contro di me. Mi sono ucciso nella stanza dove quindici anni fa mia madre perse la vita per donarla a me! Il suo è stato il più grande gesto d'amore, ma tu sei solo un lurido egoista incapace di comprendere l'amore!" Le sue parole mi ferirono come un lama di coltello nel cuore. La verità era così terribile, così spietata. Raccolsi le mie forze e con la più cupa disperazione corsi al piano di sopra dove si trovava la stanza da letto in cui mia moglie aveva perso la vita. Lui non tentò di fermarmi, anzi sembrava compiaciuto del mio gesto disperato. Aprii la porta con uno scatto feroce. Quello che vidi quasi mi fece svenire tanto mi colpì con la sua terribile immobilità. Il corpo di Alexander era sdraiato sul letto, senza vita, col cranio fracassato dal proiettile della pistola che ancora stringeva nella mano destra. Il sangue e il cervello avevano inzuppato le candide lenzuola di seta di quel letto che, dopo la morte di Melanie, nessuno aveva mai più osato occupare. "Ora hai visto che non mentivo…" la sua voce arrivò chiara e indistinguibile, "Ti senti più rilassato adesso? Forse avresti preferito evitarti questo spettacolo, non è così? Sei sempre il solito stupido, padre" rise, e ancora una volta una spada mi trafisse il cuore, "Ora, padre, è tempo che io ti lasci. Goditi il tuo rancore, vivilo fino in fondo, come hai fatto fino ad ora… L'inferno ben presto sarà pronto ad accoglierti e sta certo che Satana già pregusta il momento in cui potrà infierire sulla tua anima, sui tuoi ricordi di mortale" si voltò e si avviò verso il corridoio, "Addio padre" mi salutò e poi scomparve nel nulla. Rimasi lì solo col mio rancore e la mia paura, davanti a me era disteso il corpo senza vita di mio figlio, lo presi tra le braccia e cominciai a piangere. Proprio in quel momento entrò la nostra cameriera, che vedendo quella sciagurata pietà urlò. In breve mi furono addosso tutti i componenti della servitù. Mezz'ora dopo arrivò anche la polizia, venni arrestato, mi fissai le mani, erano sporche del sangue di mio figlio. Ed infine mi trovo qui, in questa cella di due metri per due. Il giudice Carter, un tempo mio amico, mi condannò alla prigione a vita. E proprio qui, in questa cella, ogni notte sento echeggiare le risa di mio figlio compiaciuto della sua vendetta. Proprio la scorsa notte, stufo di ascoltare la sua gioia così dirompente urlai la mia rabbia, "Come può Dio permettere tutto questo? Come può permettere che tu anima del paradiso possa compiere atti tanto efferati?" La risposta arrivò subito, sussurrata dalla morbida voce di mio figlio, "Non ho mai detto di essere un'anima del paradiso. Ho solo detto che Dio mi narrò la tua storia, ma ciò non vuol dire che la mia anima ora possa godere della sua luce" fece una breve pausa intensa, "Sai credo proprio che un giorno ci rivedremo, e forse staremo fianco a fianco nello stesso girone dell'inferno, a scontare la medesima pena, per aver tradito e non amato i propri familiari, riducendoli ad un vita incerta ed una morte che non ha perdono". |