Asini volanti (Svariati modi di pensare asino)
di Giuseppe Pulina
L'asinità, talvolta, pensava Giordano Bruno, può essere anche santa. Mai, però, gli asini vestiranno il copricapo a cupola di un cardinale. Perché gli asini sono asini, e quel che di più nobile potrà un giorno accadere loro sarà di volare, levitare, sollevarsi dal suolo. L'asino Icaro, emulo del barone di Munchaussen, è, certo, una balla colossale, un'amena e improbabilissima possibilità di riscatto per un animale che va perdendo oggi la sua vecchia posizione sociale e di cui, per le strade del nostro Occidente, si vedono sempre meno esemplari. Ma un giorno, chissà, l'ultimo asino non ne potrà più di quel che era stato degli altri asini prima di lui. Non reggerà il peso di tanta calpestata asinità. Risparmierà gli ultimi ragli di rabbia e desolazione. Farà il dinosauro, levandosi di torno e lasciandosi rimpiangere. Con un solo gesto clamoroso, cancellerà i tanti cattivi esempi della galleria asinesca che impietosamente lo ritraggono. Se foste asini (ma vi sentite di escluderlo del tutto?), trovereste insopportabile il solo pensiero del ritratto che Giovanni Buridano, filosofo medievale, fece di un vostro antenato. Grazie a quel ritratto, concentrato in una pestifera boutade, il filosofo della Scolastica mise alla berlina l'intera specie asinesca. Da allora, dire che un asino è un asino, e che asini si è, ma si può anche diventare, non fu più un semplice modo di dire. Da allora si capì che quando dici "asino", non parli di puzzole, orsetti lavatori, cincillà, né, tanto meno, di gazzelle, leoni o aquile. Un asino è un asino perché, pur essendo in grado di intendere (piccola licenza che il buon Buridano ci perdonerà), non è capace di volere. Gli asini non hanno aspirazioni, non sanno scegliere, mancano di determinazione: a digiuno da mesi (altra licenza che la dice tutta sulla nostra infedeltà alle fonti), costretto a scegliere tra due porzioni di biada di pari entità, incapace di volere, e, perciò, di scegliere, l'asino, fedele alla sua asinità (che gran testa di somaro, qualcuno magari penserà), si lasciò morire. Così racconta Buridano o la tradizione che riferisce l'aneddoto ai suoi avversari. Ma le cose andarono veramente così? Cioè: l'asino morì per la sua incapacità di scegliere? O non è forse vero, come disse Pascal, che anche chi non sceglie, comunque sceglie? Non fare alcuna scelta equivale a scegliere di non scegliere. E proprio questo fece, a nostro avviso, l'asino di Buridano, mancata cavia filosofica che mandò all'aria l'esperimento. E con ciò non si vuole naturalmente dire che gli asini abbiano, anch'essi, il loro bel libero arbitrio. Pensarlo, lo confessiamo, è una forte tentazione, perché, se così fosse, molte cose diventerebbero più chiare. Se si attribuisse un diverso significato all'aneddoto filosofico a torto o a ragione attribuito a Buridano, l'asinità smetterebbe di essere considerata un cattivo partito. Lo pensiamo seriamente. L'asino - spesso confuso con muli e bardotti, e questi con sottoderivati della meno fortunata schiatta asinesca - costituisce da sempre l'orrido dell'involuzione diabolica. Perché mai, altrimenti, il ritratto del diavolo ne richiamerebbe così esplicitamente le fattezze? Se tutti, in vita loro, hanno visto un asino (e perché ciò accada, a volte, basta uno specchio), pochi, crediamo, possono aver fatto altrettanto con il diavolo. Molto più facile, perciò, dare del diavolo ad un asino che fare viceversa. Collodi lo aveva capito fin troppo bene, quando trasformò il Lucignolo di Pinocchio in un asino. L'intento moralistico è evidente: il diavolo spaventa gli adulti, l'asino e la brutale metamorfosi sperimentata dall'amico di Pinocchio lasciano, invece, ben altro segno sui bambini. Gli asini esistono, e niente esclude che, un giorno, si possa diventare come loro. Il diavolo è un McGuffin, e, tutto sommato, è bene che tale rimanga. Che non ne sia stata detta una giusta sugli asini lo dimostrerebbe anche la fonte più scopertamente asinesca. Nella sua Fattoria degli animali anche George Orwell non resiste alla tentazione. Tra maiali che se la intendono con la rivoluzione, cavalli stacanovisti e laboriose galline che sfornano e covano uova a suon di record, il vero eroe sembrerebbe questa volta l'asino Benjamin. È lui che non dimostra la minima emozione per la cacciata degli uomini dalla fattoria. Gli "eventi epocali", le Waterloo che cambiano il corso del mondo, non le ha mai capite. È sempre lui a scoprire l'inganno dei maiali e a prevedere e piangere la morte del cavallo Gondrano. Povero cavallo, spremuto fino all'osso da Napoleon e dagli altri maiali, ingenuo servitore della rivoluzione, finito miseramente in un mattatoio. Chi ha letto il breve romanzo di Orwell (più che raccomandabile, malgrado la nostra ingenerosa insinuazione) avrà forse notato una possibile identificazione tra l'autore e uno dei suoi personaggi. Una volta tanto, verrebbe da pensare al buon Benjamin, campione di un'asinità finalmente emancipata. Il punto di vista dello scrittore si riflette in pieno in quello del suo asino: entrambi credono che le rivoluzioni siano giuste e che fondate siano le aspirazioni al riscatto di un'umanità che lotta per affrancarsi da un grado di civiltà che le sta stretto. Tanto l'asino Benjamin quanto il suo inventore credono poi che ogni rivoluzione abbia il suo Giuda. Giusto o sbagliato che sia questo modo di vedere le cose del passato, facendo pure nostra la spicciola filosofia della storia dello scrittore inglese, resta il fatto che l'identificazione tra questi e il suo asino è piuttosto forzata. Orwell porta rispetto per l'asino Benjamin, ma gli preferisce il cavallo Gondrano. Come Gondrano, ha provato le mille delusioni di quella rivoluzione impossibile, eppure possibilissima, che infiammò l'Europa nei primi decenni del Novecento. La partecipazione alla guerra civile spagnola e la sciagurata fine dei giovani ideali rivoluzionari lo renderanno simile al cavallo di cui, con una nota di comprensibile e autobiografica pietà, racconta vita e militanza nel suo romanzo. Piange un cavallo, ma, in realtà, commisera sé stesso. La galleria asinesca potrebbe includere altri ritratti d'autore. Da Esopo ad Apuleio, da Nietzsche al vecchio biblico Balaam. Avremo modo di parlarne ancora. Al lettore, che ci ha pazientemente seguito fin qui, vogliamo però rivolgere una piccola domanda di congedo: se, come si usa dire, l'asino casca, perché mai non dovrebbe anche volare?
* Gli asini volano? Solo un asino potrebbe crederlo. E questo lo sanno anche i bambini di una volta, che all'"asino vola" giocavano con gusto.
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